venerdì 27 marzo 2009

Carlos Drummond de Andrade - il poeta eterno

Spero di essere stata una degna traduttrice di questo grande poeta contemporaneo brasiliano. Lui ha scritto ai brasiliani, ma in verità, si rivolgeva a tutto il mondo. I suoi versi sono liberi, da ogni metrica, da ogni convenzione, liberi dal tempo. Si ispirava a Dante tanto quanto si ispirava alla gente comune. Oggi ancora emoziona e fa sorridere. Ancora incanta e si eternizza nei versi che seguono.


AGLI INNAMORATI BRASILIANI

Dammi, Signore, assistenza tecnica
per parlare agli innamorati del Brasile.
Può essere che l’innamorato ascolti qualcuno?
Serve parlare agli innamorati?
E sarà che ho tante cose da dire

che loro non sanno, loro che trasformano
la sapienza universale in divina dimenticanza?
Serve. Signore, sapere qualcosa,
quando si perdono gli occhi
verso il paesaggio,
perdono le orecchie
verso tutta la melodia
e soltanto vedono, solo ascoltano
melodie e paesaggi da loro stessi fabbricati?

Cecchi, sordi, muti – felici! –
[sono gli innamorati
in quanto innamorati. Prima, dopo
sono persone come noi, pedoni del quotidiano.
Ma chi è stato innamorato sa che un’altra volta
tornerà alla sublime invalidità
che è segno di perfezione interiore.

Innamorato vuol dire fuori dal tempo,
fuori dagli obblighi del CF,
SSN, IRPEF, INPS.
I codici, disarmati, retrocedono
dalla sua porta, le multe si vergognano
di punirlo, le guerre, i trattati
internazionali si ritirano
davanti a lui, intorno a lui. Il tempo,
affilando senza pausa la sua falce,
spera che l’innamorato si disamori
per sempre.
Ma nascono innamorati tutti i giorni
nuovi, rinnovati, innovatori,
e nessuno vince o perde questa battaglia.

Perché innamorarsi è destino degli umani,
destino che regola
il nostro dolore, la nostra donazione, il nostro inferno godurioso.
E chi vive, attenzione:
deve compiere l’obbligo di innamorarsi,
con la pena di vivere solo in apparenza.
Di essere il proprio cadavere itinerante.
Di non essere. Di stare, o neanche stare.
Il problema, Signore, è come imparare, come esercitare
l’arte di innamorare, che nessun sistema audiovisivo insegna,
e va oltre tutte le università.
Chi ha imparato non insegna. Chi insegna non sa.
E l’innamorato impara soltanto, senza sentire cosa ha imparato,
per opera e grazia della sua innamorata.

Poiché la donna prima e dopo la Bibbia
è l’enciclopedia naturale,
scienza infusa, incosciente, avversa ai test,
folgorante nel semplice manifestarsi,
[arrivato il momento.
Bisogna imparare dalle donne
le finezze finissime dell’amore.
L’uomo nasce ignorante, vive ignorante, a volte
[muore
tre volte ignorando il suo cuore
e il modo di usarlo.
Solo la donna (come spiegare?)
capisce certe cose
che non sono da capire. Sono da aspirare
come le essenze, o neanche così. Loro aspirano
il segreto del mondo.
Ci sono uomini che si stancano presto dell’amore,
altri che sono infedeli all’innamorata.
Povero chi non ha imparato bene,
chi non sarà mai maturo per imparare,
triste chi non meritava, non merita innamorarsi.

Poiché innamorare non è solo unire due attratti
nel vecchio o nel moderno stile,
con brividi, gemiti, silenzi,
camminate, cene, registrazioni,
fine settimana, la macchina a mille o a 80,
barca, piscina, giorno di San Valentino,
foto a colori, film pazzesco,
rapido motel dove gli specchi
non guardano baci e anime di nessuno.

Innamorare è il senso assoluto
che si nasconde nei gesti molto semplici,
non intenzionale, mai previsto,
e dà al gesto il colore dell’alba,
per rimanere, perdurando,
suono di cristallo nella conchiglia
o nell’infinito.
Innamorare è oltre il bacio e la sintassi,
non dipende dallo stato o dalla condizione.
Essere duplicato, essere complesso,
che in se stesso si punta e si raddoppia,
l’innamorato, l’innamorata
non sono quelle stesse creature
con le quali incrociamo per strada.
Sono altre, sono stelle remotissime,
fuori da qualsiasi sistema o situazione.

La limitazione terrestre, che li perseguita,
tenta addebitare (invidia)
il terribile imposto del biglietto:
“Presto! Corri! Finirà! Scomparirà!
Andrà a corrompersi tutto in un fiore spappolato
sotto la suola delle scarpe..”
Oppure:
“Rinuncia! Scappa! Dimentica! Dimentica!”
E i deboli dimenticano. I timidi rinunciano.
Scappano i codardi.
Che importa? Ad ogni ora nascono
altri innamorati per la novità
dell’antica esperienza.
E inaugurano ogni mattino
(innamoramore)
Il vecchio, vecchio mondo rinnovato.

lunedì 16 marzo 2009

Come nasce la creatività?

Ho scoperto da soli quattro anni un autore brasiliano, per mia fortuna ancora in vita, che semplicemente mi delizia con il suo modo di filosofare sulla vita. Si chiama Rubem Alves. Una persona piena di risorse, che non finisce mai di mettersi in discussione. Non si sa dove comincia l’uomo e dove finisce il poeta. Teologo, filosofo, pedagogo, ha la capacità di rendere qualunque discorso molto chiaro e ovvio, cosa che apprezzo immensamente.
Per chi, come me, cerca di scrivere, di trasmettere le proprie emozioni attraverso le parole, trovare una persona così preparata sui sentimenti più profondi dell’uomo, qualcuno che trasformi semplici pensieri in pura poesia, è estremamente appagante.
Vi trascrivo in seguito alcune sue riflessioni. Faccio mie le sue parole, perché erano in me già da tanto, ma la poca esperienza non mi ha permesso di capire, con la stessa semplicità. Perché lui è così. Così naturale che viene da pensare come mai non si è arrivati prima, alle stesse conclusioni.
Allora, deliziatevi anche voi con questi vari stralci dal libro “La musica della natura”, appunto, di Rubem Alves.
“Cosa avrebbe portato Dio a creare? Quando siamo felici non pensiamo a creare. Non c’è bisogno. Godere la felicità è abbastanza. L’impulso creativo ci viene quando sentiamo che manca qualcosa, che la vita potrebbe essere migliore. Creiamo per curare la nostra infelicità.
Il poeta tedesco Heine ha scritto un poema, “La canzone del Creatore”, nella quale lui dice che Dio ha creato perché era ammalato. Ha creato per rimanere in salute. Dio ha creato solo perché il suo mondo degli spiriti, angeli e realtà spirituali non gli bastava. Lui aveva fame di forme, colori, profumi, suoni, gusti. La creazione è il banchetto che Dio ha preparato per la sua fame. Dio ha fame di materia. Dio ha fame di bellezza. La creazione è un poema che descrive la culinaria divina. Ciò che Lui ha creato è ciò che gli dà piacere. Nessuno potrebbe pensare che Dio può creare qualcosa peggio di quanto già esistesse. Se ha creato qualcosa di nuovo è perché questo nuovo era megliore: il nostro mondo è meglio di quanto c’era già sin dall’eternità.(…)
Il movimento dello spirito sta nella direzione della materia. Come spirito puro, Lui è infelice, incompleto. Come una canzone che non viene mai cantata. Quando lo spirito dà forma alla materia, allora abbiamo la bellezza. E, con la bellezza, l’allegria. (…)
Essere spirituale è godere del vento fresco del pomeriggio, godere del profumo del giacinto, sentire il gusto dei frutti, deliziarsi delle forme e dei colori dei fiori, amare le montagne distanti, lasciarsi andare nel freddo delle acque di una cascata, sentire il brivido delle carezze sulla pelle.(…)
Spirituale è il giardiniere che pianta il giardino, il pittore che dipinge un quadro, il cuoco che fa da mangiare, l’architetto che fa una casa, la coppia che genera un figlio, il poeta che scrive un poema, il carpentiere che fa una sedia. La creatività desidera diventare sensibile. E quando ciò accade, ecco la bellezza!"

martedì 10 marzo 2009

Il frutto del cuore

Sembra un errore della natura, ma è vero.
Il suo colore solitamente è l'arancione ma le varietà sono tante, spaziando dal giallo al rosso, senza cambiare la bellezza ed il gusto. E' delizioso! Nasce in un luogo caldo e umido abbastanza da trasformarlo in un otre morbido, che
porta dentro di sè un succo profumato e dolce. Sazia la sete, ma non sazia la voglia di continuare e berlo. Eppure il vero frutto è la noce che spunta a forma di virgola nella parte inferiore. Il malo è liscio e intaccabile. Per romperlo le mani si fanno a sangue, quindi meglio staccarlo e tostarlo. Dentro si trova un anacardo, una castagna tenera, dal sapore gentile, che a sentire la scienza, contiene mille proteine e vitamine che danno il buonumore e non fanno invecchiare. Si dice anche che faccia bene al cuore, e come non credere? Una volta che lo assaggi ti perdi di tanta passione.
Si chiama cajù. Si legge come se la J fosse una G, scivolata. Fa sognare, solo a vederlo e a ricordarlo. Fossi in voi andrei a cercarlo. E' proprio vicino. Solo dieci mila chilometri. Meglio prendere un aereo, però ... che gusto!

lunedì 2 marzo 2009

Vale la pena ascoltare oltre che vedere

La musica brasiliana per tradizione non è solo il SAMBA, ma assolutamente la BOSSA NOVA. Sono cinquant'anni che esiste. Un pò più giovane del rock, ma altrettanto rivoluzionaria. Ha cambiato il senso delle cose in un paese che cerca sempre cambiamenti per migliorarsi. Aihmè non sempre si riesce!
Degli artefici principali di questo genere musicale, tre sono i miei preferiti, grandi poeti, autori di vere poesie cantate, Vinicius de Moraes, Toquinho e Antonio Carlos Jobim.
Un anno fa ho avuto il piacere di assistere al concerto di Toquinho. Veramente una chitarra magica, che fa sognare e battere il ritmo persino a quelli che di ritmo non sanno proprio niente.
Ho aggiunto quella stupenda serata ai miei trofei perché ho potuto stringere la mano di Toquinho e accorgermi che i veri artisti sono molto vicini all'umanità.
Trovare ora, sul WEB (cliccate sul titolo), un assaggio di bossa nova fa solo piacere.