lunedì 3 gennaio 2011

Perduta tra il gusto di vivere e il vivere per il gusto

E’ così che mi sento. Una specie di gradevole smarrimento che non mi permette di dare una definizione al mio permanente stato d’animo. Non che sia effettivamente importante trovare una definizione. Trattasi forse di una questione di sensi, cosa a cui sono molto attenta. Infatti tra i cinque sensi che Dio mi ha dato, sono due quelli che più spiccano: il palato e l’olfatto. Sin da quando ero piccola mi hanno segnato tutte le età, ogni evento importante, ed i luoghi e le persone che ci hanno partecipato.

Immagino quindi che per segnare la vita delle persone e avvicinarle a noi sia sufficiente legarle ad uno dei sensi. E’ quello che cerco di fare poiché avverto la necessità di lasciare buoni ricordi a chiunque mi conosca. E pazienza se non ci riesco sempre! Probabilmente pochi si ricorderanno di me ma, alla fine, non dimenticheranno, ad esempio, la mia torta al cioccolato. Una vecchia ricetta usata da mia madre che si è trasformata nel mio cavallo di battaglia dei dolci. Semplicemente una conquista del palato. Eppure, come diceva una zia molto amata, nulla ha più sapore ed è più gustoso di un bel piatto preparato con tanto amore e tanta voglia di far gradire. Concludo che non sarà l’ingrediente buono in assoluto, e cioè, il cioccolato, a rendere la torta tanto appetibile, ma la mia voglia incommensurabile di gradire.

Ho degli amici che attendono i nostri incontri intorno alla mia tavola come un evento dal quale non possono esimersi né mancare. Il solo rimandare per subentrati altri impegni gli rendono malinconici, ma non per molto. Sanno che gli attendo con la porta aperta e il piatto pronto, fumante, ad emanare odori che aprono le narici e il cuore allo stesso tempo.

Insieme a me dimenticano diete e restrizioni per affondare i denti in consistenze morbide o croccanti che compensano qualunque attesa, scoprendo gusti e sapori che saranno abbinati, più in là, al mio sorriso, alla mia gioia di aver fatto cosa gradita, di averli ricevuti con le braccia aperte.

Tra un boccone e l’altro poi, stanno a sentire i miei racconti e avvertono il mio interesse per le loro vite, il mio entusiasmo per i loro progressi e il mio disappunto per il tempo tiranno, che me li porta via alla fine della serata, rimandando il piacere di stare insieme ad un tempo che nessuno di noi sa quando sarà.

Si dice che siamo ciò che mangiamo. Veniamo creati da ciò che ci ha dato nutrimento. Cresciamo nutrendoci e moriamo soltanto quando il corpo non ha più bisogno di essere nutrito né di esistere. E’ naturale quindi cercare nel semplice gesto del nutrimento un piacere che invoca la continuità della nutrizione negli anni, magari anche senza troppi danni.

Fortunatamente possiamo vantare una crescita sociale e spirituale tale da non dover ricorrere alla caccia per sfamarci. E dopo aver scoperto la scrittura, l’uomo ha scoperto di poter nutrire anche il cervello.

Io so di aver bisogno di nutrirmi anche di libri, oltre che di buon cibo. Per me il piacere è tale e quale. Leggere un bel libro è come gustare una buona pietanza. La lettura mi trasporta nei luoghi che vedo tra le righe, tra le persone che sento parlare sulle pagine, e mi fa assaggiare e gustare ciò che sentono i personaggi. Mi amalgamo alle parole, condivido i pensieri e li porto con me nei giorni. Mica sempre, ma in alcune volte quanto ho letto finirà per ripetersi nel mio quotidiano.

All’alba di questo nuovo anno - dal quale non pretendo nulla in particolare, se non il poter continuare a gustare le cose buone della vita assieme alle persone con cui posso condividere lo stesso principio - ho con me soltanto una certezza: che è necessario, sì, nutrire la mente per saper nutrire il corpo, ma fatto ciò, serve aprirsi al gusto di vivere intensamente, assaporando ogni momento come si assapora un cibo, indagando sulle spezie e sui particolari ingredienti che lo costituiscono. Magari non gradiremo tutti, esattamente come non gradiamo i fatti che avvengono, le persone che incontriamo o che perdiamo, ma senza provare ogni cosa non sapremo mai se le nostre scelte sono state giuste o meno.

Così il vivere diventa un gusto se, nella ricerca di cosa veramente ci rende felici, proviamo piacere nelle cose più semplici, nella gioia di assistere ad un tramonto, nello stupore di un bambino che vede una farfalla in volo, nel piacere di toccare il pane caldo appena sfornato, piuttosto che bere una bella tazza di caffè con un amico che non vediamo da molto.

Ecco che trovo così il giusto equilibrio sul mio dilemma iniziale: gusto di vivere e il vivere per il gusto. Non sono affatto perduta, perché faccio passare tutto dal piacere. Per me e per gli altri.

Felice 2011!