giovedì 2 settembre 2010

Voltar - Ritornare


Voltei

pro meu lar

e descobri quanto era meu

o lar

o gosto de quem tem

uma casa

a nossa casa

minha ilha feliz

nossa ilha

meu ninho

de amor e de rotina

que vez ou outra abandono

só pra sentir o gosto da volta

o prazer de andar no chão

sob o teto que me viciou

respirando o ar que contém

o cheiro da minha vida



Sono tornata

alla mia dimora

ho scoperto quanto era mia

la dimora

il gusto di chi ha

una casa

la nostra casa

mia isola felice

nostra isola

mio nido

d'amore e di routine

che qualche volta abbandono

solo per sentire il gusto del ritorno

il piacere di camminare sul pavimento

sotto il tetto che mi ha viziata

respirando l'aria che contiene

l'odore della mia vita



País tropical

Fui ao Brasil nestas minhas férias de agosto. Voltei depois de tres anos, com fome de verde e amarelo, com sede de coco verde, querendo rever as cores que fazem vibrar meu coração. E’ sempre uma descoberta, mesmo nos lugares já vistos, sem falar dos que nunca vi antes. Todas as vezes a mesma sensação de pobre emigrante, de filha pródiga que volta ao lar, de deslumbramento e de gratidão. Coisa boa! Uma surpresa, no bem e no mal. Vivo tudo com muita intensidade e a expectativa é sempre superada. Fico enraigada aos sentimentos que me farão voltar nesse país outras infinitas vezes, pois lá está o meu ponto de partida. Descobri porém o mesmo Brasil que deixei tantos anos atrás, e entendi por que o deixei. Meus velhos olhos, que aprenderam a admirar as belezas decantadas pelos poetas nativos, desta vez se entristeceram. Não pelas belezas naturais, porque elas souberam resistir a tudo. Desafiam os tratores, o cimento e o asfalto e crescem expontaneamente, brotando em qualquer lugar, para que todos lembrem que é ela que deve dominar neste lugar único. Na verdade o que me desiludiu profundamente foi o povo. Me senti destacada, diferente, consciente demais pra ficar por lá, como desejei todas as outras vezes. Notei que as pessoas simplesmente se contentam. E não só. São capazes de sobreviver iludindo-se de viver. Optam pela quantidade em vez de preferir a qualidade. Pagam o ruim pelo preço do bom, quando deste só tem a propaganda, com foto, enganosa, de coisa que vale à pena. Passam pelas ruas sorrindo. Será por hábito. Sabe lá Deus o que tem dentro de cada um. E levam apenas um minuto para morrer, num acidente qualquer de uma grande avenida ou numa marginal, achatados como insetos, esticados no asfalto como “adesivos”, sem importância alguma para quem passa e fica olhando, de dentro dos próprios automóveis. Pobres diabos. Os que morrem e os que olham. Esses também se iludem que a morte não passe perto deles, que é coisa que só acontece com os outros. Os brasileiros se acham invencíveis, indestrutíveis, mais espertos. Dizendo isso eu concluo que já não sou mais brasileira. Por que falo “deles” do lado de fora, sou ausente. Não fazem mais parte de mim, não compartilho, não vivo lá. Meu Deus! De onde venho, então?

A minha sede continua. Quero saber o que “rola” em outros ambientes, e assim, nas minhas andanças pelas lojas paulistas observei com muita atenção as prateleiras das livrarias, procurando novos néctares culturais, fontes de inspiração para este coração poético. Comprei sete livros e teria comprado muito mais se não fosse tomada pela tristeza da partida. Mais dois de Rubem Alves para a minha coleção, os quais terei que ler à prestação, como sempre, pra impedir que acabem logo. E’ o que faço quando saboreio um quindim. Comprei Chico Buarque, uma novidade que me atraiu pelo título: “Leite derramado”. Depois tem Lya Luft com “Múltipla escolha” e mais outros que me chamaram a atenção. Eu desejava entender o pensamento atual de quem continua a ser brasileiro, culto, sentado atrás de uma escrivaninha procurando, nas palavras dessa nossa língua maravilhosa, uma definição do que é ser cidadão deste país. Me deparo, então, num autor que devo ter lido em tempos não muito suspeitos, alguma coisa que deixou na memória a recordação desse nome imponente que me soa familiar: Affonso Romano de Sant’Anna. Na prateleira leio o título que vem a calhar com todas as sensações que estou vivendo. “Que país é este?” Estão brincando comigo! E’ possivel? A mesma pergunta que me vinha em mente. Compro e levo pra casa.

E o devorei em pouco mais de um dia.

Tudo o que senti nos dias passados, todas as impressões, todas as emoções, tudo lá dentro como se o que eu estivesse pensando se materializasse no papel. Esse “cara” sente o que eu sinto! Como pode? Escrito em 1980. Completamente atual. Então o tempo não passou? Então eu também estava iludida, exatamente como todos? Todas as ordens e todo o progresso pode servir à comparação com outros países desenvolvidos, sob o ponto de vista material e tecnológico. Nenhuma ordem, nenhum progresso, sob o ponto de vista moral. Nada mudou para quem já enxergava e tinha entendido. Tudo muda para mim agora, que sempre olhei com o coração saudoso o meu país tropical. Mas isso não me impedirá de continuar a amá-lo e desejá-lo. Daqui a alguns tempos poderei voltar.


Paese tropicale

Sono andata in Brasile in queste mie vacanze d’agosto. Sono tornata dopo tre anni che mancavo, con la fame del giallo-verde, con la sete di cocco verde, desiderando rivedere i colori che fanno vibrare il mio cuore. E’ sempre una scoperta, anche nei posti già visti, per non parlare di quelli mai visti prima. Tutte le volte la stessa sensazione di povera immigrante, di figlia prodiga che torna a casa, di meraviglia e gratitudine. Cosa buona! Una sorpresa, nel bene e nel male. Vivo ogni cosa con molta intensità e le aspettative sono sempre superate. Rimango ancorata ai sentimenti che mi faranno tornare in questo paese altre infinite volte, perché è lì il mio punto di partenza. Scopro però lo stesso Brasile che ho lasciato tanti anni fa, e capisco perché l’ho lasciato. I miei vecchi occhi che impararono ad ammirare le bellezze descritte dai poeti natii, questa volta si sono rattristati. Non per via delle bellezze naturali, perché quelle hanno saputo resistere a tutto. Sfidano i trattori, il cemento e l’asfalto e crescono spontaneamente, ovunque, perché tutti si ricordino che è la natura a dominare questo luogo unico. In verità ciò che mi ha deluso profondamente è stato il popolo. Mi sono sentita distaccata, diversa, troppo cosciente per rimanere lì, come ho desiderato fare tutte le altre volte. Ho notato che le persone semplicemente si accontentano. E non solo. Sono capaci di sopravvivere illudendosi di vivere. Scelgono la quantità invece della qualità. Pagano il brutto al prezzo del buono, quando di questo esiste solo la pubblicità, con foto, ingannevole, di qualcosa che può valere la pena. Passano per le vie sorridendo. Sarà per abitudine. Sa solo Dio ciò che ognuno ha dentro. E impiegano solo un minuto per morire in una grande via o in un grande raccordo, schiacciati come insetti, stirati sull’asfalto come degli adesivi, senza importanza per le persone che passano e guardano, dentro le loro automobili. Poveri diavoli. Quelli che muoiono e quelli che guardano. Anche questi s’illudono che la morte non passerà, che sono cose che accadono solo agli altri. I brasiliani si credono invincibili, indistruttibili, più furbi. Dicendo così concludo che non sono più brasiliana. Perché parlo di loro dall’esterno, sono ormai assente. Non fanno più parte di me, non condivido, non vivo lì. Mio Dio, da dove vengo allora?

La mia sete continua. Voglio sapere cosa accade in altri ambienti, e così, nelle mie camminate tra i negozi di San Paolo, osservo attentamente le mensole delle librerie, cercando nuovi nettari culturali, fonti d’ispirazione per questo cuore poetico. Ho comprato sette libri e forse avrei comprato di più non fosse la tristezza per la partenza. Altri due di Rubem Alves per la mia collezione, i quali dovrò leggere “a rate”, come sempre, per impedire che finiscano presto. Faccio così anche quando mangio un dolce che mi piace troppo. Ho comprato uno di Chico Buarque, una novità che mi ha attratta dal titolo: “Latte versato”. Poi c’è Lya Luft con il suo “Multipla scelta” e altri ancora che mi hanno attirato l’attenzione. Desideravo capire il pensiero attuale di chi continua ad essere brasiliano, colto, seduto dietro una scrivania cercando, nelle parole della nostra lingua meravigliosa, una definizione dell’essere cittadino di questo paese. Mi ritrovo allora un autore che devo aver letto in tempi non molto sospetti, qualcosa che mi ha lasciato nella memoria il ricordo di questo nome imponente che mi suona famigliare: Affonso Romano de Sant’Anna. Sulla mensola leggo il titolo che casca a fagiolo con tutte le mie sensazioni. “Che paese è questo?” Stanno scherzando? E’ possibile? La stessa domanda che mi ponevo. Lo compro e lo porto a casa.

L’ho divorato in poco più di un giorno.

Tutto quanto ho sentito nei giorni passati, tutte le impressioni, tutte le emozioni, tutto è lì dentro come se ciò che penso si materializzasse sulla carta. Questo tale sente quel che io sento! Come può essere? Scritto nel 1980. Completamente attuale. Allora il tempo non è passato? Allora anch’io mi ero illusa, proprio come tutti gli altri? Tutti gli ordini e tutto il progresso può servire per essere paragonato ad altri paesi sviluppati, sotto il punto di vista materiale e tecnologico. Nessun ordine e nessun progresso, sotto il punto di vista morale. Nulla è cambiato per chi aveva già visto e capito. Tutto cambia per me ora, che ho sempre guardato con occhi nostalgici il mio paese tropicale. Ciò non m’impedirà di continuare ad amarlo e desiderarlo. Fra qualche tempo potrò ritornare.