3 OTTOBRE 2010
Tra poche ore si deciderà, al cinquanta per cento, il destino del popolo brasiliano.
Più di 130 milioni di persone in tutto il paese voteranno per la Camera con il sistema proporzionale, per il Senato con sistema maggioritario e per la Presidenza con il sistema maggioritario a doppio turno. Quindi, con ogni probabilità si ritornerà alle urne fra un mese, per decidere, tra chissà chi sarà il nuovo Presidente della Repubblica Federativa del Brasile,
Dopo 8 anni di governo Lula (due mandati di 4 anni), il suo partito (PT- partito dei lavoratori) punta sulla candidata Dilma Rousseff, di origini bulgare, che l’ha coadiuvato nell’ultimo mandato come ministro capo della Casa Civile, vale a dire, una sorta di primo ministro. Prima di questo incarico, ha lavorato come Ministro dell’Energie, e prima ancora, come segretaria dello stesso ministero.
La sua ascesa vanta un passato come economista resoluta e pratica che, riconosciuta per i suoi meriti tecnici e gestionali nelle aree economiche, ha scavalcato varie figure maschili nelle cariche dirigenziali sin dai suoi esordi nel governo dello Stato di Rio Grande do Sul.
Dal momento che ha avanzato la propria candidatura, appoggiata dall’attuale presidente, la stampa nazionale ha questionato pubblicamente il suo passato, poiché una legge molto nota impone che le cariche politiche siano date solo a persone di indubbia onestà, comprovata da una immacolata fedina penale e che, a sua volta, dev’essere messa a conoscenza di tutti gli elettori. In barba alla nostra legge sulla privacy, giustamente.
Poco conta però, lo sforzo della classe giornalistica, ampiamente appoggiata dalla classe intellettuale e colta – appena il 20 per cento della popolazione brasiliana -. Innumerevoli pubblicazioni della scheda giudiziaria della signora Dilma hanno collaborato a rendere noto il suo lato oscuro di personaggio pericoloso e subdolo, attiva partecipante nei movimenti politici rivoluzionari e alla lotta armata ai tempi della dittatura militare degli anni settanta (è stata autrice di retate e torture) condannata a sei anni di prigione. Risollevata da un decreto di estinzione del regime militare agli inizi degli anni ottanta conosciuto come AI5, compie solo 2 anni e qualche mese e si trasferisce nel sud del paese dove costruisce una nuova vita e, anno dopo anno, arriverà finalmente al fianco di Luiz Inácio da Silva, presidente della Repubblica del Brasile, eletto già a ottobre del 2002 e rieletto nell’ottobre del 2006.
Al grande pubblico è nota per essere una donna dura che non guarda in faccia a nessuno. Assieme ad un equipe di economisti ha realizzato il progetto Fame Zero e Borsa Famiglia, carte vincenti che hanno rivoluzionato la condizione di miseria del paese, sollevando l’immagine del presidente in carica e conquistando così, a priori, tutto l’elettorato brasiliano e il suo futuro come candidata presidenziale.
Nonostante i vari scandali in cui si è trovata, tra i quali vari episodi di corruzione, viene da Lula indicata come persona di competenza e di polso per governare il paese.
Uno degli ultimi gesti per definire la strategia di Lula per queste elezioni è stato un decreto, firmato dallo stesso alla fine del 2009. Inizialmente il decreto è stato presentato come un Programma Nazionale per i Diritti Umani, ma altro non è che uno strumento che condurrebbe il paese ad una “dittatura mitigata”, come viene chiamata dai giornalisti. Composto di 73 pagine, è stato elaborato da 17 ministeri e prevede l’elaborazione di 27 leggi correlate al tema appunto dei diritti umani (resta sapere di chi), tra le quali una che concederebbe agli invasori di terre il possesso immediato, annullando qualsiasi diritto dei veri proprietari. E’ prevista anche una legge per evitare tutti i simboli religiosi, un’altra per stabilire una commissione di controllo dei contenuti giornalistici, una per stabilire l’imposto sulle grandi fortune, una per la prostituzione che dà diritti lavorativi e fornisce un libretto di lavoro, e una che disconosce l’orrore causato dai guerriglieri politici ai tempi dei regime militare, che così scamperebbero alla prigionia o ad un possibile giudizio penale.
Tra poche ore si deciderà tra un 13, un 43, un 45, un 50 e così via. Sono i numeri dei candidati presidenziali. Solo una semplice decina facile da digitare in un piccolo marchingegno, dietro ad un separè. Per le altre cariche politiche alla Camera e al Senato, sono sempre una serie di numeri che man mano crescono. Solo numeri da ricordare.
Al popolo la decisione del futuro del paese. Com’è giusto che sia.
Mai come ora però, è in gioco un’intera nazione che potrebbe avere un destino così crudele da portare con sé l’intero occidente. L’America Latina ritornerebbe così ai famelici anni settanta, tra “desaparecidos” e potenti governanti, intenti a dominare l’esteso territorio, ancora e sempre ricco di ogni bene.
Nel frattempo, oltre a dover decidere anch’io, come tutti gli altri, mi conforta leggere un autore che mi affascina, che fa poesia vera ma, fa anche politica da sempre, che si sente brasiliano anche quando è costretto a lasciare il paese e vivere in esilio nel secolo scorso.
Si chiama Affonso Romano de Sant’Anna. E’ giornalista e professore, apprezzato perché non improvvisa, ma perché ha una vera coscienza intellettuale.
Trascrivo una personale traduzione di due spezzoni di una sua poesia, tratta dal libro intitolato “Che paese è questo?”, scritto come un manifesto e pubblicato nel 1980. La prima edizione è stata elogiata da scrittori conosciuti come Carlos Drummond de Andrade e Jorge Amado, tra tanti altri. E’ stato ristampato nuovamente quest’anno e non ho resistito a comprarlo.
…”Un paese non può essere solo la somma
Di censure rotonde e chilometri
Quadri di avventura, e il popolo
Non è nulla di nuovo
- è un uovo
che ora genera e degenera
che può essere cosa viva
- o un’ave storta
dipende da chi lo pone
o da chi lo feconda” …
…” Il popolo intanto non è un cane
E il padrone
il lupo. Ambedue sono il popolo.
E il popolo essendo ambiguo
è il suo stesso cane e il lupo.
Una cosa è il popolo, l’altra è la fame.
Se chiami popolo la folla di affamati,
se chiami popolo la marcia regolare delle armi,
se chiami popolo le urla e i fischi dello sport popolare
allora amo di più una mandria di bufali a Marajo’ (isola brasiliana)
la differenza già non esiste
tra le formiche che devastano il mio orto
e le orde di cavallette del ‘48
- che nel carnevale della fame
lo stesso popolo ha celebrato.
Popolo
non può essere sempre il collettivo di fame.
Popolo
non può essere un proselito senza nome.
Popolo
non può essere un diminutivo di uomo.
Il popolo, anzi,
sarà stanco di questo nome,
nonostante il suo istinto lo porti all’aggressione
e nonostante
l’aumentativo di fame
possa essere
rivoluzione.”
So che non tutto il popolo avrà letto questa poesia.
So che il mio voto sarà una goccia in un mare di opinioni diverse dalle mie, ma per dignità, per onore, per dovere civile, vado. Ho fatto la mia scelta. Sono anch’io il popolo.
In bocca al lupo, Brasile!
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