Ambientato a Q (come K fu la leggendaria città della trilogia di Àgota
Kristòf), città del non-piùricco Nordest ma luogo qualsiasi della provincia
italica, ispirato allo “Straniero” di Camus, “L’alieno” è un romanzo diverso.
Immerso in atmosfere letterarie, le trasferisce ai nostri giorni e tempi bui, in
modo ironico, grottesco, provocatorio, per un percorso irriverente nella
conoscenza e nella diversità. Il protagonista, Ugo, giovane universitario e
inventore di cose assurde, epigono moderno del più noto Mersault, abita il suo
mondo quasi per caso, lo vive in modo distaccato, un mondo con cui non ha nulla
da spartire e che può osservare nella sua completa Assurdità. Tutto appare
comico, cinico, grottesco, disarmante e dissacrante in quella sua incapacità di
trovare il bandolo della matassa, disseminando la strada di domande ricorrenti
sulla Morte, la Felicità,
l’Amore, la Vita
e la condizione di Essere Umano. Il piccolo successo ottenuto presentando le
proprie invenzioni in una trasmissione di un’emittente televisiva locale non
gli basta a giustificarsi come Uomo e nemmeno lo interessa. Lui non è un
tronista e nemmeno un politico. La vicenda si dipana così tra cronache
familiari al limite della farsa e del teatro dell’assurdo, personaggi che
sembrano uscire direttamente da libri e film, e un angosciante e kafkiano
processo dal registro assai comico, ma che a guardare bene non è tanto distante
dalla realtà annunciata quotidianamente da giornali e tg nazionali. E dal
romanzo emerge con forza il vero tema del libro, il “diverso” e con esso il
razzismo serpeggiante nella nostra società. Alieno, in fondo, è ciascuno di noi
di fronte all’Assurdità del Mondo. L’importanza di essere Ugo è il “prequel” de
L’alieno. Building romance, dal titolo ammiccante alla commedia di Wilde, mette
crudelmente a nudo la dicotomia tra essere e apparire nella società moderna,
l’idiosincrasia che nasce tra sogno che si vorrebbe vivere e la vita che si
vive con le sue costrizioni. Politicamente scorretto, tra amore e bizzarrie,
prese di coscienza e creazione di nuove identità, si scaglia contro razzismo e
politica, ironizza sulle scuole di scrittura, sulle ambizioni illusorie, sulla
tv e lo showbiz, fino a toccare temi scottanti come l’eutanasia e la
teledipendenza, restituendo una disamina cinica e divertente della nostra
società. Con una concezione neo-leonardesca rimette l’uomo al centro del mondo,
l’importanza di essere se stessi e rendersi utili per il genere umano, vi
presenta Ugo e il suo mondo talmente reale da sembrare allucinatorio.
UGO SETTE - Nato per caso a Parigi nel 1977 anno in cui a Londra esplodeva
il Punk, ha trascorso l’infanzia a Mestre, posto in cui le B.R. esplodevano
occasionalmente colpi di pistola. Per il resto non succedeva niente di niente.
Laureato in Antropologia Filosofica, dal momento che in Italia non riusciva ad
insegnare lo fa di tanto in tanto all’estero anche se sempre più di rado.
Berlino è la sua seconda casa, ma in Italia non ne ha una prima visti i prezzi.
Si occupa con sempre maggiore assiduità di invenzioni e ricerca. Il suo esordio
narrativo è stato il racconto Io, il Walkman e Sara sull’antologia “La musica è
il mio radar” (Mursia, 2010 a
cura di Massimiliano Nuzzolo). Con un altro racconto appare sull’antologia
“Mestre per le strade” (Azimut, 2010). L’alieno è il suo secondo romanzo anche
se l’ha scritto per primo ed è approdato a InBox dopo una lunga serie di
disavventure. Il suo primo romanzo s’intitola L’importanza di chiamarsi Ugo.
Tante altre cose in arrivo, ma ora va un po’ di fretta.
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